La discesa lungo l’Adriatico è come un lento abbandono della civilità industrializzata. Dalle piattaforme petrolifere, ai tir che corrono lungo i porti, da una nave all’altra e da lì verso tutto il Paese, ai trabocchi di legno che si affacciano sul mare restando collegati alla terraferma. E poi il Sud, bruciato, solitario, vuoto. Quello che sembra di stare nel far west, se non fosse per i muretti a secco e il bianco accecante delle cittadine, che ne incontri una ogni trenta chilometri.
Oltre il mare: le terre di sbarco, qui: l’approdo. Da secoli. Tutto si confonde tra la campagna e il mare, tra una civiltà contadina che lotta contro un terreno troppo pietroso e il sole troppo caldo e le piogge troppo poco abbondanti, e le popolazioni che si affacciano sul mare, alle prese con stranieri vecchi e nuovi. Ieri gli Spagnoli, i Normanni, i Bizantini, i Torinesi, ma soprattutto i Greci, che hanno lasciato tracce tanto profonde da riconoscerne i tratti sui volti e l’accetto nelle lingue.
Oggi i nuovi invasori, che lasciano tracce meno profonde e anche la giusta malinconia a un Settembre che illumina spregiudicato l’eleganza di certe rughe.