Petrolio greco
La Statale Jonica non ha equivalenti in Italia. Sublima il concetto stesso di strada, nella versione beat del termine, quella strada che dà la sensazione dell’andare, dell’addentrarsi in una terra. La costa jonica non ha autostrade. Per raggiungere Reggio c’è solo la 106, che parte dal Mostro dell’ILVA di Taranto e attraversa tre regioni, spendendo buona parte dei suoi chilometri in Calabria.
Venendo da Nord, però, il primo tratto che si percorre corrisponde all’area del Metapontino, oggi per lo più collocato in Basilicata. Un luogo mitico, decisamente antico e sostanzialmente intatto. Qui, molto prima della civiltà romana, approdarono i greci, che colonizzarono un’area dalla fertilità leggendaria. Era la famosa Magna Grecia, che dopo quasi 3000 anni di avvicendamenti, ha lasciato un solco profondo, tutt’oggi perfettamente visibile.
Abbiamo la fortuna di avere, qui, un ottimo contatto, che ci concede il lusso di poter parlare con un bel gruppo di persone che si occupano di processi sensati e virtuosi su un’area dove la speculazione sta alzando il tiro. Pino ci aspetta all’uscita per le Tavole Palatine, sulla statale 106. Le “tavole” sono un bellissimo tempio greco a colonne doriche che sembra spuntare come un fungo, tra un autogrill e un campo coltivato. All’ingresso non c’è neanche un custode e, così, ci permettiamo la cafonata di portare la vespa direttamente sul sito, scattando qualche foto in stile archeologico tedesco di fine ‘800 (e quanto te ricapita?).
Pochi scambi di battute e ci rendiamo immediatamente conto che il livello umano e culturale è altissimo. Stavolta abbiamo fatto davvero centro, anche grazie alla dritta dell’onnipresente Luca di Altreconomia, che ci aveva girato il contatto. Facciamo però un piccolo passo indietro e, pur non amando i manicheismi, cerchiamo di capire chi sono i buoni e chi sono i cattivi di questa vicenda. Perché qui la storia sembra davvero semplice. I cattivi sono un grande classico che fa gola a ogni dissidente del capitalismo globalizzato: le grandi compagnie petrolifere e gli speculatori del cemento. Già, perché dalla Basilicata si estrae l’8% del petrolio utilizzato in Italia. Non è di grande qualità, ma è di casa. Poi di questi tempi conviene accontentarsi… la costa, invece, è praticamente vergine, bellissima. Una manna per i nostri nemici: gli stramaledetti cementificatori. Così con l’arma in pugno della miseria e del lavoro che non c’è, questi “signori” ricattano la popolazione offrendo il loro modello di “sviluppo”. Avendo appena abbandonato l’ILVA sappiamo bene dove porta. I buoni, invece, hanno gli occhi di Pino, di Chicca, di Antonio e delle volontarie che si occupano di prevenzione sanitaria. Sono tutti lì ad aspettarci. Scendiamo e parliamo con loro.
Iniziamo la chiacchierata con Antonio, che è archeologo e ricercatore e quasi si mangia le mani mentre spiega che tipo di bellezze ci sono qui, quanta storia, quanta cultura, quanti siti da visitare, da valorizzare. Ce lo dice alla base di una fila di colonne doriche di 2600 anni, effettivamente in stato non diciamo di abbandono, ma quantomeno di trascuratezza. Si occupa di accompagnare i visitatori nei vari siti e di raccontare loro l’epopea dei coloni greci che giunsero qui trovando il paradiso, mentre oggi “i lucani se ne vanno da qui” – gli fa eco una signora vicina a lui.
Parliamo poi con i responsabili e le volontarie dell’Associazione Amici del Cuore, che si occupa di monitorare gratuitamente le condizione di salute di migliaia di studenti del posto e dei migranti, anche spostandosi a Lampedusa. Ci raccontano anche del progetto di installare a Matera una serie di defibrillatori dotati di un sistema di assistenza continua e monitorata. Importante e vicino al tipo di attivismo che più ci piace è anche l’Ambulatorio Sociale di Matera, che riesce a dare risposte e visitare i tanti che non riescono a pagare i ticket sanitari. Ci controllano anche pressione e colesterolo e possiamo così prendere atto che i perimetranti, nonostante l’abbondante dose di delizie pugliesi, stanno in ottima forma (incredibile!).
Bella è anche la chiacchierata con Chicca, che lavora con Libera che qui non solo gestisce uno “stabilimento” confiscato alla mafia, ma va anche nelle scuole a spiegare perché questo avviene, facendo i nomi e i cognomi, fatto non del tutto scontato. La spiaggia, ora, è tornata di tutti e i volontari dell’Associazione si occupano di costruire dei camminamenti per renderla fruibile alla popolazione. Chicca, va detto, ci rapisce il cuore. Non c’è un filo di retorica o di protagonismo nelle sue parole. Solo quella forza antica che nasce da chi cerca la giustizia, senza scendere a compromessi e mettendosi in gioco in prima persona.
Chiudiamo il nostro giro con Pino, che aveva organizzato tutto per il nostro arrivo. Lo dobbiamo quasi pregare. Perché lui non è quel tipo di persona che cerca di levare spazio agli altri per mettersi in luce. Ha degli occhi belli e un sorriso dirompente. Ci racconta del coordinamento SOS Costa Jonica, che si batte contro lo scempio dei porti turistici, l’inutile politica del cemento di lusso che sta sventrando quello che resta della costa italiana. Nel caso del “porto degli argonauti” (i maledetti usano sempre questi nomi poetici per chiamare i loro scempi) il danno arrecato alla collettività è enorme perché la struttura ha modificato l’assetto naturale della costa provocando un’erosione significativa della spiaggia che, ogni anno, deve essere ricostruita a spese della Regione (leggi “dei contribuenti”). La classica parabola neoliberista della privatizzazione degli utili e della socializzazione delle perdite, insomma. Lo scopo dell’associazione è quello di pubblicare e denunciare le incongruenze e gli insabbiamenti che permettono ai potenti di realizzare le loro “opere” in barba ai pareri tecnici in diversi casi del tutto negativi.
Ma Pino non fa solo questo. Come uno nodo nella rete lui sta qui, non lascia e tesse la controtrama fatta di umanità, cultura e saperi. Lo fa giorno dopo giorno, nel silenzio e tra le ostilità. Continua a sorridere e, dopo averci salutato, ci ringrazia con un messaggio, quando siamo ormai lontani.
Spesso gli articoli di “denuncia” terminano con un’esortazione alle istituzioni, allo Stato, alla Sovrintendenza. Sinceramente noi iniziamo a diffidare in profondità circa l’effettiva volontà della classe dirigente nazionale e locale di favorire donne, uomini e idee come quelle che abbiamo incontrato qui. E’ chiaro, ormai, che i “politici” (ci si perdoni la generalizzazione) stanno coi petrolieri e con il cemento. E allora il nostro appello lo facciamo a chi legge e leggerà le pagine di questo diario: andate nel Metaponto e cercate Pino, Chicca, Antonio e gli altri. Di questo ha bisogno quello che fu il paradiso che i greci trovarono “al di là del mare”.
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