La Torrefazione Malatesta

Lecco. 9 Settembre 2013.

Quando siamo stati a Vecchiano, i ragazzi de “La Staffetta” ci avevano chiesto quali sarebbero state le prossime tappe. Abbiamo citato tra le varie, anche quella di Lecco, e fu così che ci imposero di andare a conoscere i ragazzi della Torrefazione Malatesta. Ovviamente con un nome così, come avremmo potuto perdercela?
Qualcosa ci diceva che la loro storia non ci era nuova, ma prima di lanciarci in improbabili assonanze e facili confusioni, ci siamo semplicemente fidati del loro consiglio e li siamo andati a trovare.

Guidati e inebriati dal profumo del caffè tostato, abbiamo guadato il ramo lecchese del lago di Como, per ritrovarci di fronte a due ragazzi venticinquenni della zona, Jacopo e Niccolò, intenti alla trasformazione dei chicchi verdi del caffè, in quelle fragranti palline profumate pronte per essere macinate. Jacopo è un biologo, Niccolò filosofo.

Il loro maestro è Riccardo, un giovane signore, quasi di cinquant’anni entusiasta e giocherellone, con quella profondità tipica di chi ha un’intelligenza curiosa e versatile per poter fare praticamente qualsiasi cosa. E’ decisamente fiero del servizio che ha fatto per i suoi due giovani allievi (che sono solo una rappresentanza dell’intero collettivo torrefattore) e ci dice subito che il primo ad esserne arricchito è lui.

Niccolò ci guida tra i sacchi di caffè verde del loro piccolo magazzino, ci spiega la differenza tra la miscela robusta ed arabica e ci mostra tutta la procedura di tostatura del caffè. La selezione avviene a monte: si tratta di frutti grezzi, scelti dalla filiera del commercio equo e solidale. “Non è una questione di carità” ci dice Jacopo, “è una scelta politica”, nel senso che il tutto avviene secondo la consapevolezza di cosa significhi “Terzo Mondo”, che è un concetto inventato dall’Occidente dall’opulenza precaria, più che una realtà di fatto.

Svolgere un lavoro che ti porta a trasformare la materia non è un gioco da alchimisti pazzi, ma ci vuole una buona dose di esperienza e anche di errori: “all’inizio bruciavamo tutto, ma quando ti bevi la prima tazzina di caffè ti sembra il più buono del mondo”. Le difficoltà da superare non sono state però soltanto quelle dello sviluppo di certe abilità, ma anche e soprattutto i problemi legati all’investimento iniziale. La formula di microcredito che sono riusciti ad avere non c’entra niente con le banche, ma il G.A.S. di Lecco e poi due Associazioni della Lombardia hanno dato loro la possibilità di sfruttare i locali per la torrefazione e per l’acquisto di macchinari che rendessero il loro progetto qualcosa che non si limitasse alla sfera della produzione “fatta in casa”.

Mentre parlano ci ricordiamo infine che Luca Martinelli, di Altreconomia, ci aveva parlato di loro.

Iniziamo ad entrare più in confidenza e chiediamo da quale occasione nasce l’idea di tostare il caffè. Scopriamo che è stato del tutto casuale: scoprirono dei macchinari fermi da circa un anno e decisero che forse era il momento di rimetterli in moto. Il piglio non era quello imprenditoriale da latifondista sudamericano, ma quello del rappresentante di una generazione che, dopo un percorso di istruzione istituzionale, si ritrova catapultato in una realtà che non funziona. E si sente chiamato ad inventarne una nuova.

Non ci sono gerarchie tra loro, c’è solo collaborazione e la riscoperta di un modo di produrre insieme, incanalando le forze, le energie e i diversi punti di vista e saperi, in un obiettivo comune, ricco di consapevole visione delle cose, che sa abbracciare con uno sguardo la sostenibilità e la qualità della produzione, fino alla distribuzione.

Facciamo loro infine la domanda che ci premeva dentro. Perché Malatesta?

Malatesta, lui anarchico e napoletano, ha anche scritto un libro sul caffè. “La scelta del nome è stata lunga e sofferta, ma poi all’improvviso quando l’abbiamo trovato ci è sembrato così ovvio.”

  • tracciato prealpino
  • Lombardia
  • 9° giorno di viaggio

La Torrefazione Malatesta

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