Progetto Sud
La Statale procede lenta lungo la provincia di Reggio Calabria, si inerpica leggermente tra i paesini attorno a Vibo Valentia, dove si spalanca una campagna collinare terrazzata per le stratificazioni geologiche o per le cave. La pioggia leggera ma continua e il cielo grigio e pesante in una domenica autunnale gettano un’ombra di desolazione sulla provincia che ci appare ancora più solitaria e degradata. Giungiamo finalmente a Lamezia Terme, dove ci aspetta Marina ad accoglierci nella Comunità Progetto Sud. Si tratta di una realtà sostenuta da Banca Popolare Etica e noi eravamo curiosi di andare a vedere di cosa si trattasse. Marina ci racconta di quando nel lontano 1976 gruppi di persone che venivano da esperienze diverse di comunità, decisero di sperimentare la convivenza con i disabili. Era un periodo prolifico per le comuni e per i tentativi di nuove forme di convivenza, e loro decisero di unirci non solo la denuncia sulle strutture per la disabilità e dunque la lotta per i diritti, ma anche la scelta di fare tutto questo a Lamezia Terme, città del sud, famosa non di certo per l’attenzione a queste tematiche. All’inizio vivevano lavorando il rame, come si puó vedere dal rivestimento della cappa del camino che si trova nella sala da pranzo della casa che ci ospita. Il progetto, poi, si è allargato fino a dare vita a centri di riabilitazione, per il recupero dei tossicodipendenti, case di accoglienza per ragazze madri o per minori non accompagnati, ma anche per richiedenti asilo, o persone anziane. La presenza di Don Giacomo ci “insospettisce” un po’, e chiediamo subito quali sono i rapporti con la Chiesa. Marina ci spiega che loro sono autonomi rispetto alle istituzioni e che Giacomo quando entrò nella comunità non era ancora sacerdote. Insomma, la chiesa dal punto di vista economico qui non c’entra niente e dobbiamo ammettere che non vediamo neppure l’ombra di simboli confessionali né nella foresteria, né negli spazi comuni. All’interno di una gestione evoluta di mutualità economica tra i diversi progetti, partendo dal principio della cassa comune, Progetto Sud si è avvalso di Banca Popolare Etica per finanziare diversi progetti e per sostenere alcuni momenti più delicati durante la vita dell’Associazione.
A cena siamo invitati nella casa che ospita i minori, uno dei progetti più recenti nato due anni fa. Lì c’è Nicola in mezzo a un gruppo di adolescenti somali, ghanesi, egiziani e pakistani. Due di loro stanno cucinando. Chiediamo a Nicola di raccontarci la storia dei fori d’arma da fuoco che abbiamo visto sulla saracinesca del palazzo. Lui sorride e ci risponde che la storia è lunga e non si ferma ai proiettili: misero anche una bomba sulla soglia della porta la notte di Natale dello scorso anno e Giacomo venne minacciato di essere fatto saltare in aria “insieme ai suoi mongoloidi”, fatto che gli valse un periodo di protezione. La casa in cui si trovano adesso con i minori, è un bene confiscato a una famiglia mafiosa che ormai non ha più poteri e che la difese per molto tempo dopo la confisca. Gli unici che sono riusciti davvero ad entrare sono stati i ragazzi di progetto sud per dare vita a una struttura di accoglienza per minori impostandola sempre sul modello della comunità. Nicola ci racconta le difficoltà del suo lavoro, ma anche gli aspetti più belli e il continuo arricchimento che il contatto con l’altro comporta. Ci racconta di aver imparato tutto con l’esperienza e che l’aspetto più importante è la delicatezza, la comprensione e l’elasticità che è necessario avere quando si lavora con adolescenti e soprattutto con adolescenti che per arrivare lì hanno passato ogni tipo di difficoltà. Mentre siamo a cena chiediamo a uno dei ragazzi da dove viene il lui ci risponde: “Da Lamezia”, noi continuiamo: “e prima di Lamezia?” – “dall’Africa”. La tavolata sorride. Poi il ragazzo continua: “voi di cosa siete?” “Di Roma” “ah. Siete giornalisti? Mediatori?”. Sorridiamo e gli rispondiamo che no, siamo solo dei viaggiatori e ce ne andiamo in giro per l’Italia a cercare le cose belle. Lui cambia espressione, si rassicura, ci sorride e ci risponde che lì è bello.
Mentre parliamo con Nicola, dopo cena, tornano alcuni ragazzi che erano andati a trovare degli amici, scendono due uomini egiziani dalla casa per gli adulti, che hanno fatto amicizia con uno dei ragazzi egiziani, gli altri stanno insieme nel grande salone, a guardare video musicali proiettati sul muro, instaurando un curioso faccia a faccia con tra africani americani arrivati al successo discografico, tra macchinoni e belle donne e africani africani arrivati a stento in Europa.
Torniamo alla sede di via Conforti, nella parte alta della città e ci mettiamo nella stanza che abbiamo ricevuto per la notte. Ci sdraiamo sul letto che era stato fino a qualche anno prima di un ragazzino: foto di un datato Zidane alla Juve, sul muro, e libri di algebra negli scaffali. Riflettiamo a lungo sullo Stato, sulla mafia, sulle migrazioni su tutto lo sfacelo che abbiamo visto da quando abbiamo imboccato la statale 18. Poi, di contro, il pensiero va a chi in un posto come questo ha deciso di costruire in nome di un’idea decente di umanità, accogliente, solidale, pacifista e degna. Il contrasto, anche in questo caso, ci stordisce e ci provoca un moto di ammirazione e una sensazione di rispetto, finché il sonno non arriva a portarci un po’ di oblio.
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