La Compagnia del Castello
Tutto nasce qualche anno fa, quando un professore di storia e filosofia, incaricato dal sindaco della redazione di un piano di gestione, scrive un post su facebook chiedendo alla cittadinanza come andasse utilizzato il castello di Milazzo. Questo professore – che si chiama Dario Russo – è oggi assessore e dai centinaia di interventi che piovvero in rete è, infine, nata la onlus “La compagnia del castello” che si sta occupando della fortezza e che oggi andiamo a raccontare.
Intanto vale davvero la pena capire di cosa si sta parlando, perché la fortezza ha diverse caratteristiche che la rendono davvero singolare. E’ una struttura militare enorme, con una doppia cinta muraria che racchiude sette ettari di cittadella, posta sulla rocca che sta al centro della penisola di Milazzo, lunga e stretta. Un luogo di importanza cruciale che controlla lo stretto. CI spiegano che qui Milazzo viene anche chiamata “il cappio di Messina”, perché chi controlla questa città controllerebbe anche la città dello Stretto. Ci ripromettiamo di chiedere ai messinesi, anche se poi, il giorno dopo, ce ne scordiamo… Ciò che davvero stupisce è la sedimentazione delle varie ere storiche che hanno contribuito alla nascita della fortezza e, in generale, che hanno segnato questo piccolo tratto di costa. Sostanzialmente qui è tutt’oggi visibile la patchanka umana che è passata per l’Isola e, in buona parte in tutta l’Italia negli ultimi 3000 anni. Partendo dai sempreverdi greci, si passa per la battaglia navale di Caio Duilio, condotta a largo della città e che segnò il predominio navale della Repubblica Romana su Cartagine e che diede una svolta al corso degli eventi, alla presenza bizantina, araba e poi, legata alla fortezza, normanna, aragonese, spagnola, borbonica, inglese e fascista. Il forte, infatti, finì per essere un carcere anche politico (ci passò il presidente Pertini sulla via dell’esilio a Lipari) e lo è stato fino al 1959. Così, attorno al cuore normanno del posto, sono nate e cresciute altre strutture militari via via più complesse, cambiate assieme ai tempi e alle tipologie di guerre, finendo per generare un colosso kafkiano incoerente e maestoso su cui tutti i dominatori del caso hanno attaccato stemmi e araldi. Si finisce così per passeggiare tra stemmi aragonesi in marmo, fasci littori in cemento armato, restauri arditissimi, torri normanne tagliate a metà per non subire i colpi dei sopraggiunti cannoni e profondi pozzi per la raccolta delle acque.
Torniamo, quindi, al post su facebook del professore milazzese. “Che ci facciamo del castello?”. Domanda legittima, evidentemente vecchia di secoli, a cui però si è pensato di dare risposta non interpellando un oscuro Ministro a Napoli, a Saragozza, a Roma o chissà dove, ma chiedendolo direttamente agli abitanti. Miracoli dell’era dei cittadini in rete, sicuramente ancora tutta da approfondire, ma che qui sembra aver dato delle risposte.
Ci spiegano tutto Tindara, Erika e Elvira, della Compagnia (possiamo chiamarle quindi “compagne”) che ci scorrazzano su e giù per gli antri dell’ipercastello. Da quando c’è stata la prima risposta alla chiamata del Professore si è creato un gruppo di persone determinato che, a titolo di volontariato e cercando di mantenere lo spazio aperto, ha cominciato a risistemare e gestire il posto ospitando mostre, concerti, dibattiti e, più in generale, cercando di installare qui un presidio civile e civico, in un luogo da sempre in mano ai militari e ai questurini. Sì perché la fortezza, e qui sta il bello, è demaniale e dipende ancora non dalla Sovrintendenza o dai Beni Culturali, ma dal Ministero di Grazia e Giustizia, in quanto ex carcere. La Compagnia ha fatto tanto e tanto sta facendo. Ma soprattutto sta immaginando, sta costruendo un castello di idee e di possibilità accanto a quello di pietra, anzi dentro, usando come cemento la passione e la voglia di dare una nuova possibilità ad una città drammaticamente segnata dalla presenza della raffineria e della centrale a olio combustibile, costruite a pochi chilometri dal sito e padroni della costa di levante della penisola.
Sicuramente non è tutto rosa e fiori e, come spesso accade, quando qualcuno cerca di smuovere un po’ le cose, assumendosi delle responsabilità e cercando di costruire o ricostruire spazi comuni, è facile trovare chi alza il dito o chi pensa che si tratti di un’appropriazione. La strada è lunga, sicuramente e alla domanda “a chi non state simpatici” ci rispondono, ridendo, “a un sacco di gente”.
Non resta che sperare che la Compagnia riesca a mettere la parola fine alla girandola di invasori e dominatori che ha posseduto la rocca nei secoli, finendo per installare quassù l’ultimo degli araldi. Quello del popolo. Poco più sotto, nella pianura che separa i due mari, finiamo la giornata scorrazzando con gli amici di Milazzo Rossa che hanno organizzato “bici critica”, la critical mass locale, provocando un salutare momento di frattura e di conflitto in una città dove tutti sembrano possedere almeno due auto, riuscendo a guidarle contemporaneamente, visto l’assurdo traffico che la prende in ostaggio col finire del pomeriggio.
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