Terra e Libertà
Poco più a sud di Catania, nella campagna che si spalanca sul golfo e di fronte a un fumante Etna, si trova Roberto Li Calzi e la sua fattoria “le galline felici”, la leggenda dell’agrigoltura biologica e del commercio equo e solidale.
Roberto fu il primo a rispondere al nostro appello, quando nei mesi di preparazione al viaggio, andavamo alla ricerca di realtà virtuose e resistenti, in grado di inventarsi pratiche rivoluzionare per uscire da questo sistema che fa acqua da tutte le parti.
L’incontro è stato dei più promettenti. Una vecchia Guzzi con una cassetta della frutta montata dietro, ci suona lungo la statale, superandoci. A guidarla c’è un signore piccolino ma tutto muscoloso, con la faccia abbronzata da sole, che si gira, ci sorride e ci dice: “Roberto!” e poi prosegue. Quello era il segnale per seguirlo.
Entriamo a casa sua accolti da un branco di cani festanti, un sacco di persone che si sarebbero fermate a cena e per la notte e da un tramonto carico dei colori di un sole enorme, pesante e ancora estivo, nonostante Ottobre sia alle porte.
Iniziamo a conoscerci già a cena, con la promessa che il giorno seguente avremmo fatto il giro dell’orto e degli alberi da frutto, con tutte le spiegazioni connesse.
Scambi allegri, profondi, scevri da pregiudizi, sinceri. C’erano una mamma con sua figlia, in viaggio in Sicilia, scortate e accompagnate dal loro amico Vanni, camminatore, guida e cuoco provetto. Conosciamo anche Cristiana, che sta sviluppando e allargando il commercio delle sue clementine calabresi e del succo che ne ricava. Ci parla anche dell’importante sviluppo delle reti di produttori e coltivatori che sta interessando Rossano, la sua città, e il resto della costa, dopo la nascita di una forte cultura e pratica del biologico. “Il biologico non è un’etichetta, è una cosa seria: ha a che fare prima di tutto con la consapevolezza e l’amore per la terra, e poi anche con la comprensione di cosa sia un’economia davvero virtuosa”.
Il via vai di persone, la profonda conoscenza di molte questioni legate all’attivismo più dinamico e un bellissimo utilizzo della lingua, ricca di aggettivi e di verbi ricercati, mettono a fuoco un contesto e un profilo che ancora non avevamo incontrato con tanta chiarezza: quello del contadino attivista. Una figura bella e poetica, a volte solo sognata e immaginata, che ci si staglia finalmente davanti parlando di sè e ascoltando gli altri col medesimo trasporto. Andiamo a dormire felici di come si sia concluso il primo “round”. L’appuntamento è per la mattina successiva “alle sei”, ossia un po’ dopo “l’orario a cui un contadino si sveglia”. Roberto sostiene che non ci sia nulla di sano a non seguire il bioritmo scandito dal sole. Sicuramente la cura della terra ha inciso non poco in questa convinzione, che un po’ ammiriamo e un po’ rispettiamo.
Suonano le sei che ancora l’orizzonte è solo una linea viola. Inizia il bello della nostra permanenza nella casa – laboratorio – fattoria di Roberto. La nostra chiacchierata con lui di fronte al suo orto, davanti ai suoi progetti, intorno alle sue “galline felici” ha inizio con i banani. Ci spiega che il clima è adatto a piantarne e così ha voluto sperimentare. Ne assaggiamo una e ci convinciamo che ha senza dubbio fatto bene. La coltivazione dipende principalmente da fattori climatici, e dunque usarne i cambiamenti per far rendere colture tipicamente esotiche, permette la produzione di frutti, entrati ormai a far parte della dieta del nostro Paese, a chilometro zero e la possibilità di coltivarli in modo biologico e sano. Mentre ci avviciniamo agli orti vediamo finalmente queste leggendarie galline, su cui ci eravamo interrogati per mesi. Sono dietro una rete, in un gigantesco prato, che zompettano effettivamente contente. “Le prendo dagli scarti degli allevamenti intensivi. Arrivano qui senza piume, pallide, con le unghie lunghissime per non aver mai ruspato, quasi impazzite. Dopo un mese tornano così come le vedete”. La nebbia del mistero si dipana, mentre ci si stampa un sorriso contento e assonnato sul volto, sicuramente un po’ felici lo siamo diventati anche noi, a sentire questa storia.
Roberto, oltre a mostrarci l’orto e il frutteto, ci spiega tutti i numerosi progetti che vi ruotano attorno, uno dei quali si chiama “Risorti Migranti” e che prevede l’impiego dei migranti nella cura dei campi, compreso il raccolto. L’obiettivo è quello di permettere loro lo sviluppo di una professione così da avere gi strumenti per mettersi in proprio. Ci viene da chiedergli se lui davvero pensa che la società debba essere composta tutta di contadini, e si fa una risata. “Ovviamente no. Serve chi fa altri lavori, anzi è indispensabile, ma il ritorno alla terra e alla sua economia e la vita condotta a stretto legame con i ritmi biologici naturali sono basi da cui partire.”
E questo vale dunque anche per il consumatore consapevole. A questo proposito ci parla di un progetto che ha in mente e che sicuramente verrà realizzato, come ogni idea che ha avuto, sprattutto per la sua capacità di svolgere una vera e propria funzione enzimatica tra diverse persone e le loro diverse energie – “il capitale delle relazioni” lo chiama lui, citando un libro che ha scritto anni fa a venti mani. Si tratta di un treno per le arancie. Un treno vero e proprio, coi vagoni e la locomotiva – ci dice disegnandocelo in aria con le mani – che raccoglierà le arancie del sud per portarle direttamente ai Gruppi di Acquisto Solidale di ogni città. E’ un pazzo. Un visionario. Una di quelle persone che “getta l’asticella ogni volta più in avanti”, ci aveva spiegato la sera prima Cristiana.
Come quando, anni fa, aveva lanciato la proposta-provocazione di tenere l’annuale riunione dei GAS in Sicilia, spostandola dal territorio che aveva visto nascere queste realtà, ossia il Nord. “Sbarco GAS”, lo chiamó, facendo uscire il mondo dell’acquisto solidale allo scoperto, in piazza, fuori dalla dimensione più raccolta e quasi privata delle riunioni precedentemente svolte. All’inizio lo avevano preso per matto. Poi ha insistito e alla fine è riuscito nell’intento di far fare un passo in avanti al mondo dei GAS, organizzando una grande manifestazione all’aperto. Aveva raggiunto il suo obiettivo: far uscire i GAS dalla realtà di nicchia di cui, ci dice schiettamente, “non ce ne fregava un cazzo”. Ha un piglio sincero e un’indole e una vocazione popolare, democratica, ugualitaria alla cui base stanno di pari passo conoscenze di agronomia e di economia, di politica e di sociologia e un grande senso della poesia e della libertà. “Vengo dai figli dei fiori”, ci spiega. E con quest’ultima frase finiamo per capire tutto.
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