Messina. Fondazione di Comunità
Arriviamo a Messina con in pancia l’arancino (o arancina) d’ordinanza nello stomaco, preso direttamente sul traghetto. Ci attende Giuseppe, armato di Vespa PX, che ha l’incarico di condurci presso la Fondazione di Comunità di Messina. Prima però si sosta al bar per l’altro passaggio ineludibile: la granita con brioche. La Sicilia ha i suoi riti di iniziazione e noi ci prestiamo molto volentieri, consci che qui le mezze misure hanno vita breve.
La meta di oggi è arroccata sulle ripide colline che guarniscono la città. Si va, infatti, al Forte Petrazza, una struttura analoga ad altre che l’Italia umbertina volle costruire a difesa dello Stretto in un’ottica del tutto simile a quella che portò Roma, nello stesso periodo, a dotarsi della sua cintura di imponenti fortificazioni. “Da qui non hanno mai sparato un colpo”, ci dice Giuseppe. Ironie della storia: i forti furono costruiti per un tipo di guerra da età moderna proprio mentre si entrava nel ‘900, con le sue armi che certo non temevano le fortificazioni in mattoni… Così per anni la struttura è stata abbandonata, o più semplicemente “occupata” dalla malavita locale, che l’aveva adibita alle sue attività culturali: discarica, macello clandestino, arena per lotte tra cani. Quasi quasi era meglio quando c’erano i cannoni.
Poi, fortunatamente, è intervenuta una cordata di associazioni, organizzazioni e realtà territoriali che, nel 2010, ha deciso di costituirsi in Fondazione, diventando un soggetto sufficientemente forte per poter gestire la struttura, precedentemente ripulita e resa utilizzabile da alcune delle realtà poi confluite nella Fondazione. “Prima la magistratura interveniva, metteva i sigilli e il giorno dopo tutto ricominciava come prima” – ci spiega Salvatore, uno dei responsabili “poi siamo arrivati noi, per starci, ed il posto è stato finalmente sottratto al degrado”. Un forte riconquistato, insomma! Da cui, peraltro, si gode di una vista impareggiabile, dal momento che doveva servire per intercettare chissà quale ammiraglio asburgico o zarista armato di intenzioni bellicose verso il neonato Regno d’Italia.
Incontriamo Gaetano – Presidente della Fondazione – che ci spiega quale sia l’asse portante dell’attività che si svolge quassù. “La principale caratteristica”, ci dice, “è quella di aver costruito una sinergia tra un apparato teorico avanzato e in continuo sviluppo e le pratiche che vengono direttamente messe in opera sul territorio”. Vale su tutti un esempio che troviamo davvero geniale e che unisce in un ciclo virtuoso tecnologia, energia sostenibile, associazionismo e recupero degli internati del vergognoso Ospedale Psichiatrico Giudiziario della vicina Barcellona Pozzo di Gotto. Il sistema, prima teorizzato e poi messo in pratica, costituisce un vero e proprio modello. Ecco il suo funzionamento: la Fondazione si occupa, a proprie spese, di installare sulle proprietà dei privati che accettano (principalmente sui tetti) una serie di pannelli fotovoltaici. L’energia prodotta viene data gratuitamente a chi accetta di ospitare il pannello e quella in eccesso viene venduta al gestore, con un utile per la Fondazione. La Fondazione, a questo punto, investe questi ricavati nella creazione di cooperative che siano in grado di far lavorare gli internati dell’Ospedale Psichiatrico. Il nodo della questione è che questi ospedali possono rilasciare i detenuti solo se esiste una realtà in grado di accoglierli e farli lavorare. Altrimenti possono restare là a marcire per anni. Un buco nero della celebre Legge Basaglia che qui si cerca di colmare utilizzando l’energia del sole. Ne hanno “tirati fuori” già sessanta, mentre molte famiglie, spesso anche disagiate, hanno la corrente elettrica gratuitamente. Tutto grazie ad un progetto cofinanziato anche da Banca Popolare Etica, che ci ha suggerito di venire qui a vedere cosa stava succedendo.
Il principio è quello di innescare un circolo virtuoso proprio nelle zone più disagiate, creando un welfare che non corrisponda soltanto con il benessere economico, ma che riguardi principalmente lo sviluppo sociale. L’uso di nuove tecnologie, la promozione di forme di mercato che non solo non si basano sulla spietatezza della concorrenza ma che si preoccupano di sviluppare modelli economici in grado di “ridare le libertà” – come ci dice Gaetano – alle persone che vengono coinvolte, ha dato vita al Distretto Sociale Evoluto. Si tratta di un fondo da investire in modo etico che ha garantito la possibilità di inserimento lavorativo a tante persone, compresi gli ex detenuti dell’OPG, ma che ha permesso anche l’adozione sociale delle famiglie con nuovi nati in uno dei quartieri più difficili di Messina: Camari Superiore, che è poi il luogo dove si trova la Fondazione.
L’obiettivo ambizioso, ma chiaro, è quello di sviluppare un territorio socialmente più incluso, che guardi al mercato come a un equilibrio sociale, proponendo forme di cooperazione solidale.
L’economia spesso ha un linguaggio difficile, ma la cosa davvero chiara e visibile è il lavoro svolto. Per esempio ci colpisce la porta dello studio di Salvatore, presidente del consorzio SOLE, tra i soci fondatori della Fondazione. Innumerevoli scritte in gesso di ragazzi che ringraziano, riflettono sulla libertà, sulla vita e sulla collaborazione, con quella freschezza tipica degli adolescenti, mai stonata e mai leziosa. “Sono stati dei ragazzi di Cuneo, che sono venuti qui per svolgere attività di studio e di ricerca”.
Messina vive così un’insperata ondata di freschezza e di positività, cercando di gettarsi alle spalle anni che qui descrivono come “difficili”. A volte accadono delle strane e belle congiunture in cui riescono a inserirsi le persone giuste, nel momento giusto, con le idee giuste. E sembra quasi di sentire lo scatto del gigantesco ingranaggio collettivo in cui l’umanità si cerca da quando ha iniziato a ragionare di sé.
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