Riace. Rivoluzione. Venite.
Sempre la Statale 106, la sola strada che attraversa la Calabria ionica, che ti fa penetrare ogni paesino lungo la costa, che ti mostra i più tipici e rari esempi di abitazioni del “non finito” calabrese e che ti trasporta dritto fin dentro la Locride. Ad aspettarci a Caulonia Marina, uno dei paesi di quella zona con la più alta infiltrazione mafiosa di Europa, c’è Giovanni. Lui è un attivista, un militante, un viaggiatore e un sognatore. Le sue storie non le racconta solo in molti libri carichi di suggestioni e immagini che ti colpiscono dritto all’anima, ma riesce a viverle attraverso la realizzazione di vere e proprie utopie.
La battaglia che sta portando avanti proprio in questi giorni è quella di fare in modo che il suo comune si costituisca sempre parte civile nei processi per mafia. “Quando la Mafia uccide, chiunque sia il morto, é tutta la collettività a ricevere un danno enorme, che va risarcito”. Ma noi siamo lì a conoscerlo per un progetto, che non temiamo a considerare rivoluzionario.
Per andare a Riace e vedere con i nostri occhi quello che lui ci ha già raccontato nei libri e negli scambi via mail, passiamo prima per un castello solitario e abbandonato su un picco nella campagna calabrese. Ci fermiamo a raccontatci storie, a conoscerci e a raccoglierci un po’ prima di arrivare in paese dove si sta svolgendo la festa dei patroni San Cosimo e Damiano, “che è anche il protettore dei rom, di cui troverete una folta rappresentanza, oltre ai migranti”.
Perché i migranti? È bene andare con ordine.
Circa quindici anni fa, diversi secoli dopo lo sbarco dei bronzi, a Riace sono sbarcati donne e uomini in carne e ossa. Curdi. Un uomo, Domenico Lucano, che ora è sindaco al secondo mandato di quel paesino, si è posto il problema e ha iniziato a chiedere ai proprietari delle case semi abbandonate di Riace se potessero darle per far dormire quella gente venuta da oltremare. Loro risposero di sì. Da quel momento il paese, prossimo all’implosione demografica, ricomincia a vivere attraverso un lungo processo che ha donato, oggi, un volto nuovo al posto. I migranti accolti si ritrovavano in una dimensione di compresione, di non sfruttamento, in un bel paesino calabrese tutto in pietra, dentro case confortevoli e con la possibilità di un lavoro. Riace si è ripopolata, e non solo di migranti ma anche dei calabresi che sono tornati lì. Una rinascita umana, lavorativa, paesaggistica e civile.
Lo scambio è commovente e un po’ anche divertente: curdi, nigeriani, iraniani che parlano in dialetto calabrese, che si dedicano a lavori tradizionali di quella zona all’interno di laboratori che servono a creare professionalità, un tessuto sociale e anche economia. Giovanni ci mostra anche un signore, lo “scemo”, che ha recuperato dignità e rispetto occupandosi degli asini utili a svolgere la raccolta differenziata porta a porta per le strette, ripide e ciottolose stradine riacensi: lui parla a loro e loro sembrano capirlo perfettamente. Pochissimi comuni in Provincia di Reggio hanno un simile tasso di ecosostenibilità.
Essendoci trovati lì in un giorno di festa, abbiamo potuto apprezzare il calore che sprigionano le piazze di quel paese quando sono piene: un gruppo di vecchietti suonava musiche popolari, mentre altri anziani, adulti e giovani ballavano, venendo da diverse latitudini del mondo. Nei laboratori stessa scena: calabresi che insegnano ai migranti i loro mestieri tradizionali. L’incontro e lo scambio non è mondirezionale: anche i migranti hanno qualcosa da insegnare. A parte la cucina che a quanto pare è il primo modo reale e immediato per comunicare, Giovanni ci spiega che spesso i migranti ti insegnano la dignità.
Riace é oggi un modello riconosciuto a livello istituzionale. Qui é venuto il Ministro e il Presidente della Camera. Tutto, ora, sembra funzionare all’interno di un sistema virtuoso e salubre. Peró é stata dura e lo é ancora. Un simile risultato in una simile terra richiede uno sforzo leale e rivoluzionario. Nel senso stretto del termine. Un paese abbandonato, una terra devastata dalla ndrangheta, dei disperati che vengono dal mare. Poi, improvvisamente, la rivoluzione, il piano che si ribalta, il mondo che si rigira e il Sud che torna ad essere il cardinale di riferimento.
Le Ndrine minacciano, bruciano e sparano sulla finestra della taverna gestita dall’Associazione Città Futura, attorno a cui sono ruotate le attività di ricostruzione. A loro serve un’immigrazione fatta di schiavi da utilizzare per gli affari sporchi, non di donne e uomini che hanno una dignità. Non é una passeggiata verso il mondo migliore, questo é chiaro e, senza girarci troppo intorno chi sta qui rischia la pelle.
Dall’alto del paese si vede la sterminata costa jonica. Un luogo diverso e uguale a Riace, dove la ndrangheta spadroneggia, taglieggia e uccide quotidianamente e le volanti della polizia sono blindate e somigliano più a mezzi da guerra. Sembra quasi un gigantesco assedio alla cittadina dei migranti e dei calabresi. Poi, riflettendo sul senso della Storia, diventa più chiaro chi assedia chi.
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