La scoperta delle Marche

Jesi. 18 Settembre 2013.

Non è affatto semplice raccontare la sconfinata bellezza dell’entroterra marchigiano, i suoi campi di terra rivoltata, le sue colline sinuose, divise da filari di cipressi. Un paesaggio che ricorda molto i luoghi decisamente più famosi della Toscana o dell’Umbria, ma che ha un’energia del tutto singolare e misteriosa.

Lo stacco che si prova percorrendo la Statale Adriatica verso sud è sorprendente. Un attimo prima c’è il lungo non luogo del litorale romagnolo sventrato da 50 anni di turismo balneare. Un autentico orrore che fiacca l’animo e mette addosso un senso di oppressione e di annientamento. Poi, appena dopo una curva, le colline improvvisamente si alzano e tutto cambia, proiettando lo sguardo su un’altra dimensione che nulla ha più a che spartire con luoghi come Cesenatico o Rimini.

E’ il paesaggio italiano che fa la sua comparsa, nella sua migliore accezione e spazza via il grigiore del cemento armato, ricordandoci per quale motivo siamo venuti qui, invece di cercare orizzonti non ancora compromessi. Luoghi intatti ancora esistono, dunque, anche se il cinismo a volte ti fa chiedere a che prezzo.

Ma dove davvero avviene lo stacco è quando la SS16 la lasciamo, all’altezza di Senigallia, per penetrare in profondità negli avvallamenti a ridosso del mare. La Vespa sembra arrancare un po’ per poi proseguire in quota, sui crinali curvilinei ingialliti dal tramonto. Un’unica cartolina esplorabile in tutte le direzioni. L’Italia dei comuni, con le sue cittadine fortificate, i campanili, le torri e i campi. Intatta. Sconosciuta.

Esclamiamo, imprechiamo, fotografiamo, sbraitiamo, urliamo, fotografiamo. Un circolo che si interrompe solo quando la vecchia Opel di Stefano ci affianca, dicendoci semplicemente “Benvenuti”. Poi un gesto con la mano per dire “seguitemi”. Esclamiamo, imprechiamo, urliamo, ma almeno smettiamo di fotografare qualcosa ogni 200 metri.

Siamo arrivati in una delle basi strategiche di VeM Marche, la costola marchigiana del nostro principale commilitone nel donchichottiano vagare per l’Italia: Viaggi e Miraggi. Il grande rustico si apre tra le stesse colline da sogno che avevamo visto poco prima. Dieci minuti e anche Giulio, Fabrizio e Caterina ci raggiungono, armati di vino, pentole e padelle. Cena e presentazioni. Hanno tutti la nostra età, e hanno scelto di lavorare nel settore del turismo responsabile per comunicare l’amore della loro terra.

La loro è una bella storia, non si può negare. Si sono cercati, hanno girato, hanno provato altri lavori e poi, ad un certo punto, hanno scelto di tornare nel posto in cui erano nati e di mettere a frutto le loro conoscenze e il loro territorio, creando qui la prima realtà di turismo responsabile. La conoscenza che hanno della zona, siamo nei dintorni della bella Jesi (nonostante quello che ne dica la Lonley Planet, nota guida Yankee decisamente codificata), è davvero sorprendente. Sentirli parlare di storia o di agricoltura o di lavoro comunica di certo una consapevolezza approfondita di come si svolgono le cose lì. Questo posto è il loro, lo amano e fanno di tutto per fartelo scoprire.

Riposati e rifocillati, lasciamo la vespa dietro l’onnipresente orto, che Fabrizio coltiva con i principi della permacoltura e ci imbarchiamo sull’Astra che era stata la nostra safety car la sera precedente. Il viaggio per Recanati dura quasi un’ora. Il tempo per renderci conto che quello che avevamo visto non era solo uno scorcio, ma un territorio vasto tutta una provincia, dove il susseguirsi di campi e cittadine medievali non conosce soluzione di continuità.

Ma cosa fa un “turista responsabile”? Che differenza c’è con la guida del tipo “alla vostra destra c’è questo, alla vostra sinistra c’è quest’altro?”. La principale caratteristica è che degli accompagnatori simili sono capaci di farti conoscere posti e persone del luogo che altrimenti mai e poi mai – salvo incredibili botte di fortuna – avresti potuto conoscere. Sono dei connettori di risorse e conoscenze che riescono a farti vivere una terra aderendo alle dinamiche del luogo, mostrandotene le virtù, debitamente estrapolate da limiti e problemi che vengono comunque spiegati e raccontati.

Seguendo questo principio raggiungiamo la cooperativa agricola “Terra e Vita”, poco fuori la città che fu di Leopardi. Un agriturismo, animato da Maria e Spartaco, due giovanotti che vanno per i settanta e che hanno costruito una fattoria didattica con annesso ristorante, punto vendita e struttura ricettiva. Ci vivono assieme alla loro figlia disabile e assieme ad altri disabili lavorano la terra e allevano ogni tipo di animale (segnaliamo financo un pappagallo parlante e una tartaruga), portando avanti progetti di inserimento e di assistenza. Siccome da queste parti si mangia bene e duro passiamo una buona oretta a smaltire il pranzo nell’erba.

La fortuna vuole che non tutta la costa sia finita in mano ai palazzinari. L’orogenesi della regione ha piazzato qui un grosso sasso che prende il nome di Monte Conero e che rappresenta l’unico promontorio da qui fino al Gargano, in Puglia. La stessa fortuna ha voluto che la zona venisse posta sotto tutela, risparmiandola così dagli appetiti dei nostri nemici: i costruttori. Sirolo è l’ultimo paese prima della scogliera e offre una vista meravigliosa, tipicamente mediterranea, e ben più integra dei restanti chilometri di costa, divorati da una cementificazione meno drammatica di quella Romagnola ma comunque presente e, ahinoi, in continua espansione.

Tutto questo per dire che, volendo, in questi lidi si può anche andare al lido senza rinunciare a quella giusta dose di selvatichezza che ogni mare degno di questo nome deve avere. Sia lodata l’orogenesi e, a questo punto, anche l’esercito, che qui ha piazzato una misteriosa base scavata nella montagna che ha preservato di fatto tutta la zona, allontanando anche i civili armati di calcestruzzo e cazzuola. Alcuni locali dicono essere un grosso hangar per UFO. Vabbè, se non altro gli alieni hanno i nostri stessi gusti…

Il sole di Settembre inizia a tramontare, ma la giornata è ancora in grado di regalarci delle sorprese. Dopo la terra e il mare il turista responsabile non deve farsi mancare l’attivismo che, in una terra, è spia delle dinamiche che portano alla risoluzione dei problemi e alla costruzione di un’umanità migliore. Altrimenti che ci facciamo dei bei paesaggi se l’uomo che li abita non è alla loro altezza?

Andiamo così a visitare la bella Ancona, che fu il porto papale sull’Adriatico. Qui, in piazza Pertini, c’è il gazebo della ciclofficina locale e dell’Ambasciata dei Diritti. Nate attorno ad un’occupazione le due realtà, che godono degli spazi messi loro a disposizione in occasione della settimana europea della mobilità sostenibile, si occupano della diffusione della cultura della bicicletta e dello sport come strumento di integrazione. Eh già, perché nel porto della città arrivano stipati nei container in condizioni spaventose, parecchi migranti fuggiti dal porto di Patrasso, in Grecia. L’associazione polisportiva, che si occupa anche di organizzare i tornei di cricket per la comunità bengalese, rappresenta un importante punto di riferimento per chi arriva qui, cittadino del mondo, vittima del proprio tempo nella patria da cui fuggono e della disumanità della nostra legge nel luogo in cui arrivano.

Mentre scriviamo ci prepariamo a partire di nuovo, verso il Sud. Qualcosa però, dentro di noi, è cambiato. Una maggiore consapevolezza di un pezzo di Paese e un amore nato per questa terra, con tutte le sue difficoltà di dispersione e lottizzazione. Auguriamo di cuore a Stefano, Fabrizio e Giulio di riuscire nella missione catalizzante che si sono dati e di far confluire le energie che hanno nella salvaguardia della dolcissima bellezza delle Marche, e di poterle così a far scoprire nel modo migliore.

  • tracciato orientale
  • Marche
  • 16 e 17° giorno di viaggio

La scoperta delle Marche

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