tracciato ionico
Dal 23 al 25 Settembre. L’arco disegnato dalla terra dopo Taranto è interamente percorso dalla Strada Statale 106. L’unica che porta in quella terra, l’unica percorribile per uscirne.
Il giardino segreto di Massafra
23° giorno di viaggioAbbiamo la fortuna di poter fare qualche scatto alle Zoccate, un bel giardino poco fuori Massafra, la prima grande cittadina che si incontra lasciando Taranto sulla Via Appia. Qui, proprio sul limes tracciato dai veleni delle acciaierie più malfamate d’Italia, è stato costruito un piccolo orto botanico tra i resti di una cava di pietra tagliata in età moderna con uno strumento che in dialetto si chiamava “zocca”. Le piante sono tutte autoctone e l’aria che si respira è antica, quasi eterna, come una bella favola dove, per gentilezza, sono state scacciate le ingiustizie sociali e i tumori da diossina.
Abbiamo provato a gettare il nostro sguardo tra gli alberi e le pietre, grazie alla sapiente guida di Betty, la proprietaria di questo piccolo paradiso. Così doveva essere questa terra prima della grande rivoluzione che ha portato, sullo stesso carro, lavoro, denaro, sviluppo e morte.
Petrolio greco
24° giorno di viaggioLa Statale Jonica non ha equivalenti in Italia. Sublima il concetto stesso di strada, nella versione beat del termine, quella strada che dà la sensazione dell’andare, dell’addentrarsi in una terra. La costa jonica non ha autostrade. Per raggiungere Reggio c’è solo la 106, che parte dal Mostro dell’ILVA di Taranto e attraversa tre regioni, spendendo buona parte dei suoi chilometri in Calabria.
Venendo da Nord, però, il primo tratto che si percorre corrisponde all’area del Metapontino, oggi per lo più collocato in Basilicata. Un luogo mitico, decisamente antico e sostanzialmente intatto. Qui, molto prima della civiltà romana, approdarono i greci, che colonizzarono un’area dalla fertilità leggendaria. Era la famosa Magna Grecia, che dopo quasi 3000 anni di avvicendamenti, ha lasciato un solco profondo, tutt’oggi perfettamente visibile.
Abbiamo la fortuna di avere, qui, un ottimo contatto, che ci concede il lusso di poter parlare con un bel gruppo di persone che si occupano di processi sensati e virtuosi su un’area dove la speculazione sta alzando il tiro. Pino ci aspetta all’uscita per le Tavole Palatine, sulla statale 106. Le “tavole” sono un bellissimo tempio greco a colonne doriche che sembra spuntare come un fungo, tra un autogrill e un campo coltivato. All’ingresso non c’è neanche un custode e, così, ci permettiamo la cafonata di portare la vespa direttamente sul sito, scattando qualche foto in stile archeologico tedesco di fine ‘800 (e quanto te ricapita?).
Pochi scambi di battute e ci rendiamo immediatamente conto che il livello umano e culturale è altissimo. Stavolta abbiamo fatto davvero centro, anche grazie alla dritta dell’onnipresente Luca di Altreconomia, che ci aveva girato il contatto. Facciamo però un piccolo passo indietro e, pur non amando i manicheismi, cerchiamo di capire chi sono i buoni e chi sono i cattivi di questa vicenda. Perché qui la storia sembra davvero semplice. I cattivi sono un grande classico che fa gola a ogni dissidente del capitalismo globalizzato: le grandi compagnie petrolifere e gli speculatori del cemento. Già, perché dalla Basilicata si estrae l’8% del petrolio utilizzato in Italia. Non è di grande qualità, ma è di casa. Poi di questi tempi conviene accontentarsi… la costa, invece, è praticamente vergine, bellissima. Una manna per i nostri nemici: gli stramaledetti cementificatori. Così con l’arma in pugno della miseria e del lavoro che non c’è, questi “signori” ricattano la popolazione offrendo il loro modello di “sviluppo”. Avendo appena abbandonato l’ILVA sappiamo bene dove porta. I buoni, invece, hanno gli occhi di Pino, di Chicca, di Antonio e delle volontarie che si occupano di prevenzione sanitaria. Sono tutti lì ad aspettarci. Scendiamo e parliamo con loro.
Iniziamo la chiacchierata con Antonio, che è archeologo e ricercatore e quasi si mangia le mani mentre spiega che tipo di bellezze ci sono qui, quanta storia, quanta cultura, quanti siti da visitare, da valorizzare. Ce lo dice alla base di una fila di colonne doriche di 2600 anni, effettivamente in stato non diciamo di abbandono, ma quantomeno di trascuratezza. Si occupa di accompagnare i visitatori nei vari siti e di raccontare loro l’epopea dei coloni greci che giunsero qui trovando il paradiso, mentre oggi “i lucani se ne vanno da qui” – gli fa eco una signora vicina a lui.
Parliamo poi con i responsabili e le volontarie dell’Associazione Amici del Cuore, che si occupa di monitorare gratuitamente le condizione di salute di migliaia di studenti del posto e dei migranti, anche spostandosi a Lampedusa. Ci raccontano anche del progetto di installare a Matera una serie di defibrillatori dotati di un sistema di assistenza continua e monitorata. Importante e vicino al tipo di attivismo che più ci piace è anche l’Ambulatorio Sociale di Matera, che riesce a dare risposte e visitare i tanti che non riescono a pagare i ticket sanitari. Ci controllano anche pressione e colesterolo e possiamo così prendere atto che i perimetranti, nonostante l’abbondante dose di delizie pugliesi, stanno in ottima forma (incredibile!).
Bella è anche la chiacchierata con Chicca, che lavora con Libera che qui non solo gestisce uno “stabilimento” confiscato alla mafia, ma va anche nelle scuole a spiegare perché questo avviene, facendo i nomi e i cognomi, fatto non del tutto scontato. La spiaggia, ora, è tornata di tutti e i volontari dell’Associazione si occupano di costruire dei camminamenti per renderla fruibile alla popolazione. Chicca, va detto, ci rapisce il cuore. Non c’è un filo di retorica o di protagonismo nelle sue parole. Solo quella forza antica che nasce da chi cerca la giustizia, senza scendere a compromessi e mettendosi in gioco in prima persona.
Chiudiamo il nostro giro con Pino, che aveva organizzato tutto per il nostro arrivo. Lo dobbiamo quasi pregare. Perché lui non è quel tipo di persona che cerca di levare spazio agli altri per mettersi in luce. Ha degli occhi belli e un sorriso dirompente. Ci racconta del coordinamento SOS Costa Jonica, che si batte contro lo scempio dei porti turistici, l’inutile politica del cemento di lusso che sta sventrando quello che resta della costa italiana. Nel caso del “porto degli argonauti” (i maledetti usano sempre questi nomi poetici per chiamare i loro scempi) il danno arrecato alla collettività è enorme perché la struttura ha modificato l’assetto naturale della costa provocando un’erosione significativa della spiaggia che, ogni anno, deve essere ricostruita a spese della Regione (leggi “dei contribuenti”). La classica parabola neoliberista della privatizzazione degli utili e della socializzazione delle perdite, insomma. Lo scopo dell’associazione è quello di pubblicare e denunciare le incongruenze e gli insabbiamenti che permettono ai potenti di realizzare le loro “opere” in barba ai pareri tecnici in diversi casi del tutto negativi.
Ma Pino non fa solo questo. Come uno nodo nella rete lui sta qui, non lascia e tesse la controtrama fatta di umanità, cultura e saperi. Lo fa giorno dopo giorno, nel silenzio e tra le ostilità. Continua a sorridere e, dopo averci salutato, ci ringrazia con un messaggio, quando siamo ormai lontani.
Spesso gli articoli di “denuncia” terminano con un’esortazione alle istituzioni, allo Stato, alla Sovrintendenza. Sinceramente noi iniziamo a diffidare in profondità circa l’effettiva volontà della classe dirigente nazionale e locale di favorire donne, uomini e idee come quelle che abbiamo incontrato qui. E’ chiaro, ormai, che i “politici” (ci si perdoni la generalizzazione) stanno coi petrolieri e con il cemento. E allora il nostro appello lo facciamo a chi legge e leggerà le pagine di questo diario: andate nel Metaponto e cercate Pino, Chicca, Antonio e gli altri. Di questo ha bisogno quello che fu il paradiso che i greci trovarono “al di là del mare”.
Riace. Rivoluzione. Venite.
25° giorno di viaggioSempre la Statale 106, la sola strada che attraversa la Calabria ionica, che ti fa penetrare ogni paesino lungo la costa, che ti mostra i più tipici e rari esempi di abitazioni del “non finito” calabrese e che ti trasporta dritto fin dentro la Locride. Ad aspettarci a Caulonia Marina, uno dei paesi di quella zona con la più alta infiltrazione mafiosa di Europa, c’è Giovanni. Lui è un attivista, un militante, un viaggiatore e un sognatore. Le sue storie non le racconta solo in molti libri carichi di suggestioni e immagini che ti colpiscono dritto all’anima, ma riesce a viverle attraverso la realizzazione di vere e proprie utopie.
La battaglia che sta portando avanti proprio in questi giorni è quella di fare in modo che il suo comune si costituisca sempre parte civile nei processi per mafia. “Quando la Mafia uccide, chiunque sia il morto, é tutta la collettività a ricevere un danno enorme, che va risarcito”. Ma noi siamo lì a conoscerlo per un progetto, che non temiamo a considerare rivoluzionario.
Per andare a Riace e vedere con i nostri occhi quello che lui ci ha già raccontato nei libri e negli scambi via mail, passiamo prima per un castello solitario e abbandonato su un picco nella campagna calabrese. Ci fermiamo a raccontatci storie, a conoscerci e a raccoglierci un po’ prima di arrivare in paese dove si sta svolgendo la festa dei patroni San Cosimo e Damiano, “che è anche il protettore dei rom, di cui troverete una folta rappresentanza, oltre ai migranti”.
Perché i migranti? È bene andare con ordine.
Circa quindici anni fa, diversi secoli dopo lo sbarco dei bronzi, a Riace sono sbarcati donne e uomini in carne e ossa. Curdi. Un uomo, Domenico Lucano, che ora è sindaco al secondo mandato di quel paesino, si è posto il problema e ha iniziato a chiedere ai proprietari delle case semi abbandonate di Riace se potessero darle per far dormire quella gente venuta da oltremare. Loro risposero di sì. Da quel momento il paese, prossimo all’implosione demografica, ricomincia a vivere attraverso un lungo processo che ha donato, oggi, un volto nuovo al posto. I migranti accolti si ritrovavano in una dimensione di compresione, di non sfruttamento, in un bel paesino calabrese tutto in pietra, dentro case confortevoli e con la possibilità di un lavoro. Riace si è ripopolata, e non solo di migranti ma anche dei calabresi che sono tornati lì. Una rinascita umana, lavorativa, paesaggistica e civile.
Lo scambio è commovente e un po’ anche divertente: curdi, nigeriani, iraniani che parlano in dialetto calabrese, che si dedicano a lavori tradizionali di quella zona all’interno di laboratori che servono a creare professionalità, un tessuto sociale e anche economia. Giovanni ci mostra anche un signore, lo “scemo”, che ha recuperato dignità e rispetto occupandosi degli asini utili a svolgere la raccolta differenziata porta a porta per le strette, ripide e ciottolose stradine riacensi: lui parla a loro e loro sembrano capirlo perfettamente. Pochissimi comuni in Provincia di Reggio hanno un simile tasso di ecosostenibilità.
Essendoci trovati lì in un giorno di festa, abbiamo potuto apprezzare il calore che sprigionano le piazze di quel paese quando sono piene: un gruppo di vecchietti suonava musiche popolari, mentre altri anziani, adulti e giovani ballavano, venendo da diverse latitudini del mondo. Nei laboratori stessa scena: calabresi che insegnano ai migranti i loro mestieri tradizionali. L’incontro e lo scambio non è mondirezionale: anche i migranti hanno qualcosa da insegnare. A parte la cucina che a quanto pare è il primo modo reale e immediato per comunicare, Giovanni ci spiega che spesso i migranti ti insegnano la dignità.
Riace é oggi un modello riconosciuto a livello istituzionale. Qui é venuto il Ministro e il Presidente della Camera. Tutto, ora, sembra funzionare all’interno di un sistema virtuoso e salubre. Peró é stata dura e lo é ancora. Un simile risultato in una simile terra richiede uno sforzo leale e rivoluzionario. Nel senso stretto del termine. Un paese abbandonato, una terra devastata dalla ndrangheta, dei disperati che vengono dal mare. Poi, improvvisamente, la rivoluzione, il piano che si ribalta, il mondo che si rigira e il Sud che torna ad essere il cardinale di riferimento.
Le Ndrine minacciano, bruciano e sparano sulla finestra della taverna gestita dall’Associazione Città Futura, attorno a cui sono ruotate le attività di ricostruzione. A loro serve un’immigrazione fatta di schiavi da utilizzare per gli affari sporchi, non di donne e uomini che hanno una dignità. Non é una passeggiata verso il mondo migliore, questo é chiaro e, senza girarci troppo intorno chi sta qui rischia la pelle.
Dall’alto del paese si vede la sterminata costa jonica. Un luogo diverso e uguale a Riace, dove la ndrangheta spadroneggia, taglieggia e uccide quotidianamente e le volanti della polizia sono blindate e somigliano più a mezzi da guerra. Sembra quasi un gigantesco assedio alla cittadina dei migranti e dei calabresi. Poi, riflettendo sul senso della Storia, diventa più chiaro chi assedia chi.